Nell’estate 2015, durante una route sulle Alpi Apuane, mi è capitato di conoscere e passare un paio d’ore ospite di un giovane ottantunenne che il 12 agosto 1944 si salvò per miracolo, sopravvivendo alla strage di Sant’Anna di Stazzema. Il suo nome è Enrico Pieri e aveva 10 anni quando le truppe naziste entrarono a Sant’Anna. Le SS ammassarono donne, vecchi e bambini nelle case e li uccisero.
Non contenti, diedero fuoco a corpi e case. In quel paesino dell’Alta Versilia erano rimasti solo vecchi, donne e bambini: ne morirono a centinaia, tra cui 65 bambini. La storia che mi raccontò Pieri come un nonno al nipote (qui sotto c’è la sua testimonianza), fu per me qualcosa di diverso, perché è difficile sentirne una analoga nelle nostre zone, dove gli eventi bellici più rilevanti (Fosse Ardeatine a parte) riguardano semmai i bombardamenti Alleati e le indegne “marocchinate”.
Per capire la festa del 25 aprile e i sentimenti d’intensità diversa e contrastante a seconda del luogo in cui si vive, andando oltre le superficiali banalità, non si può che partire da eventi come questi. Eventi che hanno indelebilmente segnato l’animo e la storia della popolazione che ha vissuto la più dura oppressione del nazismo in ritirata, al di sopra della Linea Gotica (tra la Versilia e la provincia di Pesaro-Urbino), dove le truppe di Kesserling hanno dato il peggio. Di fronte a certi drammi vissuti nel centro-nord Italia, è davvero incomprensibile come si possa pensare di non festeggiare il 25 aprile come fine dell’occupazione nazista.
D’altra parte l’evoluzione della Seconda Guerra Mondiale in Italia era segnata da almeno due anni. Nella primavera del 1943 l’Italia era stata sconfitta in Africa e la situazione era sempre più compromessa. L’inizio della fine fu il 19 luglio del 1943 quando 662 bombardieri scortati da 268 caccia scaricarono per ore bombe su Roma mentre un’aviazione italiana, vecchia e inefficiente, non poté far niente.
Alle bombe seguì la sfiducia a Mussolini, il suo arresto e la nomina di Badoglio. L’armistizio dell’8 settembre 1943 segnò la resa incondizionata ed evitò un secondo bombardamento su Roma ma la fuga del Re e del Governo in Puglia sconquassò lo Stato italiano. Interi apparati statali (militari e amministrativi) furono lasciati senza direttive né ordini, alla mercé dei tedeschi. Gli alleati dell’Asse in poco tempo divennero occupanti malgrado la strenue eroica lotta di alcuni reparti del Regio Esercito: fu la pagina più nera dello Stato.
In Italia non c’era più un Governo: ce n’erano molti. C’era: il Governo Badoglio che controllava (si fa per dire) parte del Meridione; c’era l’Amministrazione fiduciaria Alleata; c’era la Repubblica Sociale Italiana che controllava (si fa per dire) il Settentrione, a sua volta sotto il controllo del Reich; c’era il Comitato di Liberazione Nazionale che stava a Roma e, dal dicembre 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI) riconosciuto e finanziato dagli Alleati e dal Governo monarchico. Non c’era uno Stato di diritto ma c’erano Stati di fatto e di forza. Con il Regno del Sud (così si chiamava) che combatteva insieme alle forze Alleate, passate da invasori a salvatori, per ricacciare i tedeschi oltre le Alpi.
Salerno era già libera dal 1943. Napoli, insorta, aveva cacciato i tedeschi tra il 27 e il 30 settembre 1943. Roma fu liberata nel giugno 1944. Man mano che i nazisti si ritiravano verso nord, aumentavano le violenze. Il 25 aprile del 1945 il CLNAI proclamò l’insurrezione armata contro le truppe naziste e i repubblichini in tutto il settentrione.
I nazisti e i repubblichini furono attaccati in ogni dove e gli ultimi soldati tedeschi in ritirata si arresero il 1° maggio: gli Alleati trovarono le città italiane del nord già liberate. Poco prima anche il CLNAI non aveva perso l’occasione per scrivere la sua pagina nera con l’ostensione dei corpi a piazzale Loreto (che provocò lo sconcerto di Parri che la definì ‘macelleria messicana’ e di Pertini che affermò: “L’insurrezione è disonorata”), quale risposta all’indegna strage compiuta l’anno prima da parte dei nazi-fascisti sulla stessa piazza milanese.
Al di là delle formule vuote, il senso della festa di oggi si può cogliere a distanza di tanto tempo ricordando i tanti volontari di tutte le estrazioni politiche che combattevano contro gli occupanti per liberare l’Italia. Non se ne poteva più della guerra, della guerra civile e del dominio nazista. Nel 1945 effettivamente tra gli italiani ci furono vincitori e vinti. Oggi la serenità che conferisce il tempo permette di riconoscere che ci furono eccidi compiuti per mano di entrambe le parti (basti pensare a Oderzo, Vercelli o Mignagola).
Malgrado ciò, il 25 aprile rimane l’inizio di una nuova fase storica, che ha portato a una rinascita socio-politica, democratica e poi economica: sarebbe stato umiliante se dopo Cassibile l’effettiva liberazione del territorio nazionale fosse avvenuta soltanto per opera dell’avanzata degli Alleati, che avrebbero comunque sconfitto i nazisti per soverchiante forza militare, numerica ed economica. Anche perché l’attenuazione delle clausole della resa dipendeva proprio dalla partecipazione degli italiani alla lotta contro i nazisti. Ecco perché, anche per questo, il 25 aprile rimane una festa da festeggiare, complessa quanto la nostra storia sociale, politica e istituzionale.