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…e il razzismo antirazzista
di Vittorio Begliuti
Una nuova moda si sta diffondendo nel mondo: la “cancel culture”. Forse non tutti lo sanno, ma siamo sotto attacco frontale, un attacco che molto spesso non è menzionato perché sottovalutato. Non è più il momento di viltà o di ignavia da parte nostra di fronte all’assalto spregiudicato della prepotenza del “politicamente corretto” e del suo braccio violento, quello del “cancel culture”! Non è possibile consentire ad una minoranza di far crescere una generazione di giovani ai quali viene insegnato a odiare, a disprezzare la storia, le tradizioni, la cultura, l’arte della nostra civiltà. La nostra Civiltà non può essere sottoposta ad un attacco alle nostre tradizioni, alla libertà di pensiero e di espressione a 360°.
Non dobbiamo consentire che venga imposto il “pensiero unico” da parte di una dittatura delle minoranze in nome di falsi “idoli” dell’antirazzismo e del femminismo, di una religione diversa, di una ecologia anticapitalista e antidemocratica, di una cultura spogliata dei suoi veri valori che hanno come fautori “sanculotti del giacobismo 2.0”. E’ iniziata una caccia alle streghe che vede come vittime non solo grandi musicisti e scrittori, grandi esploratori, grandi statisti del passato e del presente ma anche personaggi di fiabe, di opere liriche, simboli religiosi e si è arrivati a inquinare anche la cucina con i suoi piatti tipici. E’ l’ansia spasmodica che tutto sia “politicamente corretto”.
Sono ormai alcuni, e non di poca importanza, gli esempi che vogliono cancellare la nostra cultura al grido di “cancel culture” appunto. Ad esempio, avviene questo in alcune, ma non poche, università statunitense, inglesi e francesi che da un po’ di tempo hanno trasformato le facoltà umanistiche e di scienze sociali (sic!) in un caos in cui la minoranza di studenti spalleggiati da docenti “agit prop” sta lottando per cancellare la cultura occidentale e con essa la religione cristiana. Le università americane declassano gli studi classici, in Francia vengono aboliti i numeri romani dai musei nazionali, in Italia si discute, ormai da anni, sull’opportunità di togliere o meno lo studio del latino e del greco dai licei. E’ la lenta erosione della cultura classica. Un esempio lo abbiamo anche in casa nostra purtroppo, visto che la U.E. ha di recente deciso di fare a meno delle nostre radici cristiane, forse per non offendere coloro che non le hanno.
Restando nella “democratica” U.S.A, tempo fa, sempre in nome della cancellazione della cultura, decine e decine di “benpensanti” hanno cominciato ad abbattere, ad esempio, la statua di Cristoforo Colombo, colpevole di razzismo. Va di moda ormai un “glossario antimaschio” dove, fra l’altro, nella neolingua femminista il prefisso “man” è diventato un dispregiativo. E c’è un razzismo anti-bianco e il “bianco” – chiunque esso sia, qualunque cosa faccia – è colpevole di “esistere”, colpevole di “esserci”. Può infettare: se sei maschio bianco sei parte del problema che equivale a “bianco=parassita” (Donald Moss). Questo è razzismo da parte degli “antirazzisti”, che in realtà sono solo “neorazzisti” (Pascal Brucker). E si arriva così al paradosso affermato dal presidente degli USA J. Biden: “Il mondo post-covid avrà bisogno di essere più equo, più gender-neutral e più femminile”.
Ma cosa vuol dire “gender neutral”? E’ forse il trionfo del “woke obsession”, l’ossessione rivelata di recente con la bandiera BLM. Una ossessione verso il “bianco razzista” entra anche in cucina. La torta di mele è bandita perché dolce razzista, sarebbe il simbolo di una America che nasconde una storia di violenze e sopraffazioni, frutto del colonialismo e della schiavitù. Come del resto lo zucchero di canna, il cotone ecc.. Il loro commercio –all’arrivo di Colombo – diede luogo al “capitalismo”, ad atti di genocidio contro gli indigeni. Ogni movimento che cancella la cultura della libertà rende impossibile la giustizia, l’uguaglianza, la storia dell’umanità. La “cancel culture” equivale ormai a un postmoderno “odio di classe”.
E’ pura rieducazione maoista con la differenza che il bastone non è più agitato dalle Guardie del popolo, ma dai Guardiani dell’inclusione. Quello che sta avvenendo è una minacciosa pulizia del pensiero, della cultura, della stessa storia. Mi sembra quanto mai opportuno ricordare una bellissima frase di George Orwell: “Se libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alle persone ciò che non vogliono sentirsi dire”. Altrimenti significa indirizzarsi verso una società totalitaria. Il razzismo culturale è quanto mai pericoloso e pernicioso e può aprire la strada a tensioni sempre più crescenti: pulizia del pensiero e della cultura e perdita della libertà.
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