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Anche quest’estate c’è il rischio della turnazione per i Comuni dei Castelli Romani. Sulle fonti del Pertuso si consuma il confronto tra i sindaci castellani e quelli della Valle dell’Aniene. C’è una nuova crisi idrica alle porte?
Contro le turnazioni estive dell’acqua i sindaci dell’ex consorzio Doganella hanno chiesto alla Regione di aprire ancor di più i “rubinetti” del Pertuso, sui monti Simbruini. La questione è la stessa del 2017: l’acqua scarseggia e quest’estate in parte dei Castelli Romani si rischia di tornare alle turnazioni. Per questo i sindaci del Consorzio Acquedotto Doganella (quello dei pozzi dei Pratoni del Vivaro) hanno chiesto al presidente della Regione Lazio di autorizzare l’Acea Ato 2 a prelevare l’acqua dalla fonte del Pertuso al fine di rifornire la zona.
La finalità è quella di evitare le turnazioni. “Turnazioni che – scrivono i Sindaci nella lettera alla Regione – sarebbero del tutto incompatibili con le misure di prevenzione per la diffusione da Covid-19, data la situazione di emergenza sanitaria in atto. La possibilità di attingere al prelievo idrico dalla fonte del Pertuso, così come ribadito oggi dai vertici Acea Ato 2, i quali a loro volta hanno già avanzato alla Regione Lazio una richiesta formale di autorizzazione in tal senso, non presenta alcuna criticità e non creerebbe problemi nemmeno da un punto di vista tecnico. Tanto più che a seguito della precedente crisi idrica verificatasi nel 2017 – hanno ancora scritto i sindaci – la Regione Lazio ha già provveduto ad autorizzare tale prelievo straordinario”.
Il “no” dei sindaci della Valle dell’Aniene e delle associazioni
Contro i prelievi già chiesti dall’Acea Ato 2 si erano levate le proteste della Valle dell’Aniene (qui l’articolo di montiprenestini.info). Associazioni e gruppi sono infatti preoccupati per l’equilibrio del bacino idrico dell’Aniene, che è un sistema idrogeologico differente da quello dei Colli Albani. Associazioni e ambientalisti dell’Aniene sospettano la volontà di “appropriarsi definitivamente delle sorgenti” del Pertuso e propongono “una gestione di buon senso, con la sacrosanta manutenzione della rete idrica (ACEA stessa dichiara dispersioni superiori al 40%)”. Ma c’è di più: contro l’autorizzazione al prelievo si sono schierati anche i sindaci della Valle dell’Aniene.
Ad inizio giugno i sindaci di Subiaco, Trevi nel Lazio, Cervara di Roma, Camerata Nuova, Vallepietra, il presidente del Parco dei Monti Simbruni e il presidente della Comunità Montana locale hanno formalmente chiesto alla Regione di bloccare l’ulteriore prelievo d’acqua dalle fonti del Pertuso. Come racconta romaedintorninotizie.it, gli amministratori hanno sottoscritto un documento in cui si oppongono alla richiesta avanzata dall’Acea Ato 2. Nel documento si chiedono interventi e investimenti a tutela dell’Aniene e viene ricordato come “l’ulteriore prelievo non sarebbe necessario se Acea Ato 2 fosse intervenuta, come annunciato nel 2017, con la manutenzione straordinaria delle condutture idriche“. “L’Aniene non può subire ulteriori decurtazioni – hanno dichiarato i sindaci –, siamo al limite. Ci sono altre soluzioni tecniche da perseguire“.
Anche nel 2017 si era discusso di tutto ciò e il sindaco di Trevi nel Lazio aveva chiesto di bloccare i lavori al Pertuso per sfruttare le fonti del suo paese (qui l’articolo del Corriere della Sera). Ieri come oggi, la vicenda lascerebbe quindi pensare a una lotta tra chi ha l’acqua e chi non ce l’ha. Ma la realtà e gli effetti della crisi idrica sono più complessi e si conoscono da almeno quindici anni.
Dal Pertuso al mare, siamo tutti sulla stessa barca
La crisi idrica non è una novità di quest’anno. In passato si è a lungo discusso di censire i pozzi privati dei Castelli Romani e di sanzionare quelli abusivi. Allo stesso modo si parla da anni del Pertuso e delle sue fonti. Ma forse la memoria è più viva pensando al 2017, anno in cui la Regione Lazio chiese lo stato di calamità naturale. In quell’anno, a causa della siccità, emerse un aumento degli incendi che, nel solo mese di giugno 2017, vide un incremento del 300% rispetto allo stesso periodo del 2016, sull’intero territorio laziale. A pagare la crisi fu il lago di Bracciano, con un aumento dell’emungimento dell’acqua verso Roma.
Quest’anno si è iniziato a parlare di crisi idrica nel Lazio già a febbraio. In quel mese il direttore dell’Associazione dei Consorzi di Bonifica ed Irrigazione del Lazio, Andrea Renna, espresse preoccupazione per “uno degli inverni più caldi degli ultimi decenni” (leggi qui le dichiarazioni). Il problema è la diminuzione delle piogge, che negli ultimi sei mesi sono cadute in modo molto parco sul versante tirrenico, ma anche lo spreco dell’acqua e le perdite dei tratti vetusti della rete idrica. Quest’anno, indice di questa siccità è ancora una volta il lago di Bracciano, arrivato a -124 cm dal livello idrometrico, appena sotto il limite di captazione (ecco i dati).
Tra piogge più scarse e forniture elevate
Sarebbe ingenuo pensare che la crisi idrica sia solo un problema di Bracciano o delle sorgenti della Doganella o di quelle del Pertuso. I dati del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (sono qui) dicono che negli ultimi dieci anni le precipitazioni sono diminuite quasi costantemente. Inoltre l’Istat certificava nel 2019 che l’Italia è la nazione dell’Unione Europea che estrae la maggior quantità d’acqua:
“Il volume di acqua complessivamente prelevato per uso potabile dalle fonti di approvvigionamento presenti in Italia è di 9,49 miliardi di metri cubi nel 2015, pari a un volume giornaliero pro capite di 428 litri, il più alto nell’Unione europea. Tuttavia, poco meno della metà di tale volume (47,9%) non raggiunge gli utenti finali a causa delle dispersioni di rete. L’erogazione giornaliera per uso potabile è quantificabile in 220 litri per abitante, 21 litri in meno rispetto al 2012”.
LE STATISTICHE DELL’ISTAT SULL’ACQUA | ANNI 2015-2018
Alcuni effetti del consumo delle risorse idriche: l’avanzata del sale in provincia di Latina
Diminuzione delle piogge, perdite e consumi sono le tre cause delle crisi idriche estive. Quali sono gli effetti? Solo le turnazioni nell’erogazione dell’acqua? No, non solo. Cambiamo contesto e volgiamo lo sguardo verso la pianura pontina, rifornita dalle strutture idrogeologiche dei Monti Lepini e dei Monti Aurinci. Lì ci si accorge che un effetto del consumo delle risorse idriche è il mare che avanza. No, il mare non sta erodendo le spiagge ma la sua acqua sta avanzando perché arretra la falda d’acqua dolce. E infatti se fate due chiacchiere con qualche contadino della pianura pontina vi dirà che uno dei problemi principali è la minore disponibilità di acqua dolce.
L’anno scorso si parlava pubblicamente di “emergenza salinizzazione” tra Sabaudia e Terracina (qui l’articolo). In quelle zone si notava infatti un aumento del sale nell’acqua. Non era una novità assoluta. Già uno studio del 2005 prendeva atto, tra il 1977 e il 2003, dell’abbassamento della superficie di falda fino a venti metri. L’abbassamento comporta l’ingresso dell’acqua marina nella falda, un’aumento del sale e una riduzione della produttività dei campi che sono innaffiati con l’acqua dei pozzi. Insomma, dallo sfruttamento delle fonti del Pertuso ai campi coltivati di Sabaudia, passando per le piscine e i prati innaffiati dei Castelli Romani, in questo caso più che mai siamo tutti sulla stessa barca. Che rischia di rimanere arenata su una… secca.
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