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Tarantino decide di raccontarci una favola e sorprende tutti
C’era una volta a… Hollywood è il nono film di Quentin Tarantino, un regista che nel corso degli anni ha abituato gli spettatori ad un certo tipo di cinema: violento, irriverente, dissacrante, citazionista, grottesco, “pulp”; chi è andato in sala aspettandosi di vedere il classico film del regista americano di origini italiane, potrebbe essere rimasto alquanto deluso: la pellicola ha un ritmo lento, prolisso, la storia “vagabonda” senza una direzione precisa, proprio come i nostri protagonisti per le strade della Los Angeles del 1969, il film sembra non capire bene dove voglia andare a parare per due ore buone.
Tarantino si prende il suo tempo per calarci nel suo mondo e lo fa cosi bene che alla fine della pellicola, ben tre ore dopo, non lo vuoi più lasciare. Un mondo fatto di attori, cineasti, produttori, gente con la passione per il cinema che Quentin ha sempre avuto e che vuole rendere esplicita più che mai in questa opera. C’ era una volta a… Hollywood è una lettera d’amore alla settima arte, alle persone che ci lavorano, a Hollywood, a quel mondo che lui ha sempre sognato e di cui è riuscito a far parte da protagonista, al cinema western (in particolare spaghetti western) di cui è sempre stato appassionato, basti pensare ai recenti “Django Unchained” e “The Hateful eight”. E’difficile anche dire con precisione di cosa parli il film; la storia in se e per se non è nemmeno l’elemento più importante. E no, non è un film su Charles Manson: altra voce che è girata e che ha tratto molti in inganno.
I protagonisti sono Rick Dalton, interpretato da Leonardo Di Caprio, un attore di film western principalmente la cui carriera sta finendo troppo presto e che si ritrova per questo depresso e alcolizzato, e la sua controfigura Cliff Booth, interpretato da Brad Pitt, che con mia grande sorpresa ha a mio avviso rubato la scena più volte a Di Caprio. La bellissima Margot Robbie interpreta Sharon Tate, stavolta personaggio veramente esistito, che però non ha molto da fare tutto sommato nel film, e che poteva essere stata sfruttata in modo più interessante ai fini della trama. Le interpretazioni sono tutte ottime, sia quelle dei protagonisti (Di Caprio è ormai una garanzia) e Brad Pitt che ogni tanto dimostra di non essere solo un belloccio ma anche un validissimo attore, e anche quelle di tutti gli altri attori che compaiono anche solo per un cameo (Al Pacino, Kurt Russel e Mads Mikkelsen tra gli altri).
L’ atmosfera di transizione tra gli anni sessanta e settanta è resa magistralmente, i colori, i costumi, lo spettatore è riportato in quell’epoca in mezzo alle star della vecchia Hollywood e ai figli dei fiori, ai drive in e ai “capelloni”. La storia è narrata come se fosse una fiaba, ambientata in una realtà esistita veramente ma rivista sotto la lente di Tarantino, in cui anche le azioni più quotidiane e banali risultano più interessanti, più emozionanti della vita reale.
Forse non è il suo film migliore, o il suo film perfetto. In alcuni punti si trascina effettivamente un po’ troppo per le lunghe, a volte in dettagli forse trascurabili, ma questo non inficia più di tanto la visione. A mio parere le tre ore sono non si sono sentite per niente. Certo, se vi interessa un film con una storia lineare e avvincente, potreste trovarlo noioso. Ma se invece amate Tarantino e non vi dispiace un film un po’ più “rilassato” del solito che però non si fa mancare alcuni stilemi tipici del cinema tarantiniano, potreste uscire dalla sala molto soddisfatti. E state pronti per gli ultimi venti minuti: quelli metteranno d’ accordo tutti e valgono da soli il prezzo del biglietto.