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Le questioni energetiche in campo sono enormi ma anche gli enti locali possono (e dovrebbero) fare la loro parte per migliorare la situazione
Il caro energia sta massacrando artigiani e piccole aziende (che producendo generano ricchezza e pagano le tasse) e continuerà a farlo se lo Stato non prenderà provvedimenti radicali. La questione non è la carenza del gas russo né le sanzioni. Perché le seconde non hanno colpito le importazioni di gas e la prima non è mai esistita: la Russia ha infatti continuato a venderci il gas allo stesso prezzo del passato. Siamo invece vittime del nostro stesso mercato finanziarizzato dell’energia, il cui costo viene stabilito nella borsa di Amsterdam con meccanismi patologici, da quando in Italia è stato abolito il prezzo amministrato.
Non sono ottimista e non credo che la nostra Repubblica farà niente di determinante (a parte elargire contributi, magari a debito, che poi dovremo ripagare in qualche modo). È troppo impastoiata nei vincoli esterni, fissati a livello costituzionale, e limitata nella sua sovranità dal diritto europeo e dalle convenzioni internazionali. Credo piuttosto che le sanzioni in atto, recidendo i nostri secolari rapporti con l’Est, stiano compiendo un’ulteriore americanizzazione dei nostri mercati, con relativa riduzione dell’autonomia economica e (quindi) politica.
A livello locale non ci si può certo nascondere dietro questioni geopolitiche. Lo si potrebbe fare se non ci fossero strumenti per costruire nuove strade di autosufficienza energetica o quantomeno di alleviamento della crisi. Qualche strumento nelle disponibilità di comuni e province c’è. Ma forse si è più attenti alle dinamiche elettorali regionali e nazionali, in attesa della manna dal cielo, piuttosto che intenti a progettare il futuro.
Uno di questi strumenti, che coinvolge direttamente i comuni, le aziende e gli enti di formazione e del terzo settore, è stato previsto nel 2019 e consente la creazione di comunità energetiche rinnovabili. Non entrerò nei tecnicismi, basti dire che si tratta di soggetti giuridici autonomi, i cui membri (o azionisti) che possono esercitare il potere di controllo sono anche gli enti territoriali, comprese le amministrazioni comunali, che stanno pagando esse stesse gli aumenti in bolletta. Tali “comunità” consentono di produrre localmente, tramite fonti rinnovabili, l’energia elettrica di cui si ha bisogno, accedendo ai contributi del GSE. Il meccanismo si basa sulla condivisione più che sull’imprenditorialità e ciò evita la speculazione, come ad esempio quella in corso per il teleriscaldamento.
Tutto ciò si può fare anche di iniziativa privata, ma è evidente che gli enti pubblici hanno un potere decisionale e di impulso più intenso. Perché allora non iniziare a progettare interventi del genere, che superino la tradizionale concessione di impianti fotovoltaici a privati su terreni comunali a fronte di un canone? In materia, di recente e in passato, ho sentito accenni o vaghe proposte rese difficili da assetti normativi ed economici immaturi. E invece un progetto serio sarebbe utile a tutti gli aderenti. Purtroppo in passato non c’è stata la lungimiranza di partire per tempo o di ascoltare chi lo proponeva, ma… meglio tardi che mai. Anche perché da maggio queste comunità sono sostenute anche dai fondi del PNRR.
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