Pietro Acciarito e le distorsioni del potere. Piero Proietti cancella cent’anni di calunnie

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La condizione dei contadini e la miseria umana dei funzionari ottocenteschi nel libro “L’anarchico che non uccise il re”

Che la storia si ripete non è soltanto un detto popolare ma una concezione filosofica del mondo che ha radici in Vico ed Hegel. Forse Pietro Acciarito, morto alla fine del 1943, non aveva in mente questo quando nel 1897 provò ad attentare alla vita di Umberto I di Savoia. Non pensava sicuramente agli attentati del passato ai leader politici né a quelli che sarebbero avvenuti nei cento anni successivi e che sarebbero stati trattati un po’ come il suo gesto, ad uso e consumo del potere. Che la storia si ripete lo ha ben chiaro, invece, Piero Proietti, autore del libro “L’anarchico che non uccise il re”, dedicato proprio a Pietro Umberto Acciarito e presentato sia ad Artena sia a Lariano.

La storia del fabbro, nato nel 1871 ad Artena e venuto meno a Montelupo Fiorentino, è stata oggetto di un intenso dibattito sulle distorsioni del potere. Al dibattito, ad Artena, insieme all’autore Piero Proietti ha partecipato Luciano Lanna ed altri studiosi. Ne è emerso un profilo di Pietro Umberto Acciarito ben diverso da quello descritto all’epoca del tentato attentato. Il profilo di un uomo proveniente dalla classe contadina, tutt’altro che inserito nei circuiti dell’anarchia internazionale, ma soggetto alle angherie del potere e alle condizioni penose della classe contadina dell’epoca.

Dalla ricerca di Proietti, infine, è apparsa particolarmente squallida la volontà dei vari funzionari del Regno di far carriera tentando in tutti i modi di far confessare all’Acciarito cose non vere, arrivando all’inganno e al raggiro nei confronti del detenuto pur di ottenere una promozione nell’amministrazione dello Stato. Una vicenda che durante il dibattito è stata accostata ad episodi contemporanei di tentati attentati alla vita di leader politici, poi utilizzati in modo propagandistico, “gonfiandone” la portata.

Acciarito, passato alla storia come attentatore del re, non riuscì infatti nemmeno a sfiorare Umberto I a Capannelle, venne invece quasi travolto dalla carrozza reale. Tuttavia quella vicenda fu sfruttata non soltanto da funzionari pubblici ma anche dalla cultura positivista dominante per riaffermare una calunnia, cioè che il popolo artenese fosse naturalmente incline alla delinquenza, costruendo una falsa verità che ancora oggi sopravvive nella cultura popolare, secondo cui “Artena è paese di briganti”. Il libro di Piero Proietti “L’anarchico che non uccise il re” (Mursia editore) va dunque letto per sgombrare il campo da oltre un secolo di calunnie su un pover’uomo di Artena, stufo della miseria e delle ingiustizie ma anche per osservare uno spaccato sulle distorsioni del potere e le miserie umane dell’epoca.

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