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Asl Roma 5 condannata a risarcire i nove eredi di un’anziana di 77 anni di Artena che fu ricoverata nel 2011 presso l’ospedale di Colleferro e che morì successivamente a all’Umberto I di Roma
Morì a 77 anni per gli errori medici compiuti a Colleferro, fra cui una trasfusione di sangue che era destinata ad un altro paziente. A 9 anni dal decesso della donna di Artena, avvenuto nel 2011, arriva il risarcimento ai figli e ai nipoti di circa 1 milione e 400 mila euro. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Velletri con una sentenza di lunedì scorso. La sentenza ha riconosciuto agli eredi i danni richiesti dall’avvocato Renato Mattarelli, che ha assistito la famiglia contro la Asl Roma 5 a cui fa capo l’ospedale “Parodi Delfino” di Colleferro.
La sentenza di primo grado ha dichiarato la responsabilità dei sanitari per non aver tempestivamente diagnosticato alla 77enne la Sindrome di Guillain-Barrè e di aver trasfuso per errore del sangue destinato alla paziente del letto accanto. L’errata trasfusione ha aggravato la situazione dell’anziana, poi trasferita dall'”Umberto I” di Roma senza che fosse segnalato l’errore di trasfusione.
Durante il processo civile che si è tenuto a Velletri, l’avvocato Renato Mattarelli ha evidenziato come anche l’errore trasfusionale abbia inciso sul decesso, non solo come causa dell’immediato scompenso della reazione immunitaria da incompatibilità del sangue destinato ad altro paziente, ma anche come contributo allo stato settico e soprattutto la mancata annotazione in cartella clinica dell’emotrasfusione.
L’avvocato ha precisato che la mancata registrazione dell’errore trasfusionale nella diaria ha inciso pesantemente sulle successive cure dei medici del Policlinico Umberto I di Roma che hanno successivamente preso in carico la paziente.
“Oltre ad esserci un evidente illecito, quello di coprire l’errore trasfusionale, omettendone grossolanamente l’annotazione – ha dichiarato l’avvocato della famiglia –, ancor più grave è stato il non aver documento ai medici del Policlinico l’esatto quadro clinico in cui si trovava la paziente al momento del trasferimento e, quindi, di aver impedito una corretta diagnosi e terapia per la cura della reazione immunitaria post-trasfusionale”.
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