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Negli ultimi giorni i Comuni di Artena, Lariano, Valmontone, Colleferro e la stessa Regione Lazio hanno più o meno costantemente diffuso nuovi dati sull’epidemia da coronavirus ma potremmo iniziare a chiederci il senso e il significato di questi numeri
Come sta andando l’epidemia di coronavirus ad Artena, Lariano, Valmontone e Colleferro? E come sta andando a livello regionale? Una domanda a cui è difficile rispondere se non partendo dai numeri. Quelli che hanno divulgato i Comuni di Lariano, Artena, Valmontone e Colleferro sono i seguenti. A Lariano ci sono: 1 ricoverato, 2 persone in isolamento domiciliare e quattro in quarantena preventiva. Ad Artena ci sarebbero: due ricoverati e quattro positivi oltre a una ventina di quarantene preventive. A Colleferro: 29 positivi. A Valmontone: 15 positivi. A Labico, contando le comunicazioni del sindaco, sembra ce ne siano 8. Nel Lazio i dati sono i seguenti: 83 persone in terapia intensiva, 896 ricoverati, 9658 in isolamento domiciliare. Totale: 10637 positivi.
Il nonsenso dei dati
Cosa ci dicono tutti questi dati? Quasi niente e non solo perché potrebbero non essere stati comunicati tempestivamente, come ha fatto sapere il sindaco di Artena. Non sappiamo se si tratta di singoli individui o di intere famiglie; non sappiamo se sono casi che riguardano RSA o case di riposo; non sappiamo quante sono le persone totali poste in quarantena preventiva (non positive). È vero, i dati ci dicono che ci sono dei positivi ma come interpretarli?
Riguardiamo gli stessi dati in termini relativi. Possiamo dire che l’epidemia riguarda lo 0,18% della popolazione del Lazio. Oppure che interessa lo 0,14% degli abitanti di Colleferro, lo 0,09% dei residenti a Valmontone, lo 0,04% dei residenti ad Artena e lo 0,02% dei residenti a Lariano. Ma anche così questi dati non ci dicono assolutamente niente.
Sapremmo qualcosa di più dai dati se le Asl e i Comuni dicessero quanti sono i ricoverati in terapia intensiva e quanti i ricoverati con sintomi, quanti sono i nuclei familiari interessati, di che tipo di catene di contagio parliamo, quanti sono gli asintomatici e quanti i decessi “per” coronavirus (per ora si sanno solo quelli “con” coronavirus). Ma anche questi dati non sono noti. Senza ulteriori chiarimenti, l’impressione è che i numeri “assoluti” vengano posti continuamente all’ordine del giorno per agitare, consapevolmente o no, paure e timori.
L’impossibilità di paragonare i dati sul coronavirus a quelli del lockdown
E nemmeno si può provare a paragonare i dati sul coronavirus di questo periodo a quelli del lockdown. Perché? Come ha spiegato a ilsussidiario.net Giuseppe Arbia, professore ordinario di statistica economica all’Università Cattolica di Milano, statisticamente “i dati di cui disponiamo non sono attendibili”. Questo perché se tra marzo ed aprile si facevano i tamponi a chi aveva almeno tre sintomi, oggi i tamponi si fanno anche a coloro che sono senza sintomi. Inoltre il numero di tamponi giornalieri è molto più alto della primavera, senza contare che non si sa se tali tamponi riguardino anche persone che avevano già fatto il test in precedenza.
Il totale dei contagiati in Italia: secondo uno studio pubblicato su Science Direct potrebbero essere 6 milioni
Sta quindi peggiorando la situazione epidemiologica? Non si sa nemmeno questo: certo è che si stanno trovando tanti asintomatici che vengono posti in isolamento preventivo a casa. E se si fa mente locale, si può ricordare che l’Istat aveva stimato ad agosto che oltre 1,4 milioni di Italiani avevano già contratto il sars-cov-2 tra febbraio e luglio. Un ulteriore studio, pubblicato su Science Direct (clicca qui per leggerlo), stima che il 9% degli italiani avrebbe contratto il coronavirus sars-cov-2: si tratterebbe di circa 6 milioni di persone. Se questi sono i numeri, possiamo davvero ritenere sorprendente che all’aumento dei tamponi è seguito un aumento dei positivi? Non sarebbe più realistico sostenere, con buon senso, che la macchina di individuazione dei positivi è ancora troppo lenta per correr dietro al sars-cov-2?
Una buona notizia sul tasso di letalità
Tra tutte queste informazioni più o meno dubbie, sembra confermarsi una notizia positiva che non si legge spesso e che avevamo anticipato da tempo. Come conferma Giorgio Palù, virologo dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia, il coronavirus sars-cov-2, secondo gli studi di sieroprevalenza, avrebbe un tasso di letalità tra lo 0,3 e lo 0,6%. E non è un caso che, come avevamo anticipato ad agosto, si cominci a parlare di covid, come lo stesso Palù afferma, come virus che “non è destinato a estinguere il genere umano” e che è “destinato a circolare per anni, forse per generazioni e ce lo ritroveremo come i virus pandemici dell’influenza”. Purtroppo però le statistiche sono impersonali e considerano i grandi numeri. In quello 0,3-0,6% possiamo essere compresi anche noi, i nostri amici e i nostri conoscenti. Attenzione dunque.
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